Le ville a portico e loggia: origine, evoluzione, modelli in valpolicella dal Tre al Quattrocento

Giuseppe Conforti

Abstract


L'indagine verte su edifici a portico e loggia costruiti in Valpolicella a partire dal tardo Trecento come emanazione di modelli abitativi elaborati nella corte scaligera, quale la loggia di Cansignorio. La più antica testimonianza, documentata a partire dal 1358, risale al palacium magnum fatto edificare dagli Scaligeri a Santa Sofia di Pedemonte, nel sito poi trasformato da Palladio. Fu il capitano dell'esercito Cortesia Serego, che ricevette l'immobile in dono da Antonio della Scala, a far costruire le logge tra il 1381 e il 1387. Altri palazzi a loggia di quel periodo sono documentati a Fumane (nel sito di Villa Della Torre) e a Montorio; una corrispondenza iconografica coeva della diffusione delle logge si trova nelle illustrazioni del Tacuinum sanitatis vergato in area veneto-lombarda. In questa fase la soluzione del palazzo con loggia contraddistingue le famiglie dell'aristocrazia militare contigue alla stirpe scaligera, quali i Serego, i Maffei e i Castelbarco. Non è chiaro quale sia stato lo sviluppo di questa tipologia edilizia nel corso del Quattrocento: emerge un gruppo stilisticamente coerente di ville (villa Bertoldi a Negrar, villa Del Bene a Volargne, villa Sella a Castelnuovo del Garda, villa Guantieri a Fasanara di Valgatara, villa Selle a Fumane) che è stato da sempre assegnato a questo secolo. Il dato stilistico che accomuna questi edifici è il sistema dell'arco a tutto sesto nel portico, cui corrisponde un doppio archetto nella loggia superiore. Un censimento dei palazzi urbani quattrocenteschi dotati di portico e loggia (Palazzo del Capitano, lato occidentale del Palazzo Vescovile, logggia della Domus Pietatis, loggia del Palazzo Vescovile di Monteforte d'Alpone) evidenzia la presenza esclusiva di logge architravate e non voltate ad arco. Per trovare portici sovrastati da logge a doppio archetto occorre trasferirsi nei chiostri bramanteschi di Sant'Ambrogio, risalenti all'ultimo scorcio del Quattrocento. Solo nei primi anni del Cinquecento tale modello comincia a diffondersi in area padana (Cremona, Pavia, Ferrara, Mantova) per giungere a Verona come tipologia di ambiente claustrale (chiostro di San Giorgio in Braida, San Silvestro, monastero di Santa Caterina, palazzo Confalonieri-Da Lisca). Tale sistema venne codificato nel 1521 dal Vitruvio di Cesariano, ma conobbe un breve successo a causa della diffusione di istanze razionaliste che ravvisavano problemi statici in tale soluzione. Pertanto il gruppo di ville del contado veronese sopra menzionato andrebbe ancorato alla prima metà del Cinquecento. Il prototipo di queste ville a portico e loggia potrebbe ravvisarsi nel Palazzo Costabili di Ferrara dove, accanto all'architetto Biagio Rossetti, operava il lapicida e inzegnere Gabriele Frisoni. Questi faceva la spola tra Ferrara e Sant'Ambrogio in Valpolicella, dove deteneva un laboratorio di lavorazione di manufatti lapidei. Lo stesso Rossetti è documentato in Valpolicella nel 1502; dopo il 1505 non abbiamo più notizie di Frisoni ma possiamo presumere che la consuetudine edilizia si sia trasmessa ad altre maestranze locali.

Ricostruendo l'itinerario, si possono individuare nella Crypta Balbi o nel portico di piazza Giudea a Roma gli antecedenti delle soluzioni bramantesche di Sant'Ambrogio; il modello, nelle mani di maestranze prive di studio, venne sottoposto a progressiva semplificazione riducendosi al solo elemento lapideo della colonna.

Rispetto ai primi tentativi di applicazione, che convivono con preesistenze quattrocentesche (villa Del Bene, villa Guantieri, villa Quintarelli) nelle ville Bertoldi, Sella e Selle il modulo si propone attraverso l'espansione della facciata, riprendendo modelli del tardo Trecento quali “La Loza” di Montorio. La diffusione del lessico sanmicheliano produrrà, a partire dalla metà del Cinquecento, la progressiva adozione della morfologia con pilastro bugnato in luogo delle colonne nel portico (villa Turco ad Arbizzano, villa Segala a Semonte di San Pietro in Cariano, casa Salvaterra a Prun di Negrar, villa Fraccaroli a Bure Alto di San Pietro in Cariano). Un caso limite è quello di villa Zamboni ad Arbizzano, che pur adottando il sistema portico-doppio archetto, introduce una tipologia di portico tripartito che sfocerà, subito dopo, a villa Giona di Cengia di Negarine, dove portico e loggia condividono il medesimo ritmo, in una nuova configurazione della facciata di una villa.

 


Parole chiave


Serego; Maffei; Della Torre; Guarini; Turco; Del Bene; Bertoldi; Selle; Sella; Giona; Zamboni; Costabili; Palladio; Cesare Cesariano; Gabriele Frisoni; Bernardino Zorzi; Cristoforo Sorte; Michele Sanmicheli

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